Benedetto Croce in un opuscolo del 1935, Orientamenti, ammoniva: «Non vi date pensiero di dove vada il mondo, ma di dove bisogna che andiate voi per non calpestare cinicamente la vostra coscienza, per non vergognarvi del vostro passato tradito». La società italiana, in questo tempo di crisi, ha bisogno di un contributo nuovo da parte del laicato cattolico che non può limitarsi alla costruzione di reti di tenuta sociale, ma deve esprimersi nella proposta di idee politiche, nel senso più alto, e iniziative per una nuova stagione. Per far questo, però, è necessario ritrovare un’unità e una comunione vera all’interno del panorama delle realtà ecclesiali. L’insegnamento sociale della Chiesa ci ha educato a valutare le implicazioni non solo etiche, ma anche sociali e politiche della fede, di cui l’Eucaristia rappresenta uno degli “aspetti più intimi” perché «il culto cristiano non è un mero atto privato, ma possiede un carattere pubblico che impegna le relazioni sociali, la testimonianza di fronte a tutti, e a maggior ragione quando a renderla è chiamato un credente con responsabilità sociali e politiche, al quale è chiesto un impegno anche istituzionale per la promozione del bene comune in tutte le sue forme». Viviamo nella società degli eventi. Mauro Magatti – preside della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica, nel suo intervento al Congresso Eucaristico di Ancona – parla di una società segnata da scoppi di rabbia improvvisi, spesso senza progetto, né elaborazione. Fiammate che rischiano di essere pericolose. Una società in cui tutto diventa opinione, fino ad arrivare all’idea secondo cui ognuno può darsi il senso di sé. Ma questo crea una società piatta dove tutto è uguale e niente ha valore. Una rappresentazione da cui dobbiamo cercare di uscire. Per questo è necessario creare “nuovi areopaghi e nuove agorà”, in cui il senso può essere riprodotto. Bisogna fare un percorso che deve vedere protagoniste la scuola e le università. Quindi non possiamo rispondere ai problemi con risposte vecchie che ci porterebbero a commettere gli stessi errori, ma possiamo farlo attraverso un maggiore impegno dei cattolici nella vita sociale e politica. Il mondo cattolico ha bisogno di ritrovare unità perché il nostro protagonismo non può essere limitato alle opere sociali. I cristiani abitano la storia consapevoli di avere qualcosa di proprio da dire, qualcosa che è dato dalla fede, ma che è avvicinabile anche dalla ragione aperta e pensante, perché è qualcosa che sta alla base di ogni aspetto che dà forma alla vita sociale. La fede cristiana è come un tesoro, o come la perla preziosa che misura il valore e riordina tutti gli altri pur necessari tesori. Si tratta dell’uomo, secondo il quale «senza una visione antropologica integrale e quindi trascendente, non si va lontano nei vasti e molteplici campi della società»: dall’economia alla finanza, dal lavoro alla cultura, dalla solidarietà sociale alla giustizia, dalla salute alla pace, all’ambiente. “L’uomo è la bussola”: perdendo la bussola ci si disorienta, e il risultato sarà che ogni aspetto del bene comune andrà per conto proprio, cercando soluzioni anche con impegno, ma senza misurarsi con il criterio dell’umano, cioè l’uomo. Il Vangelo rivela il vero volto di Dio e dell’uomo e, come conferma tutta la tradizione della Chiesa, la ragione scevra da pregiudizi giunge a riconoscere i tratti universali del tesoro-uomo. La vita senza alcuna decurtazione, il matrimonio e la famiglia, la libertà religiosa ed educativa: sono questi i cardini costitutivi dell’uomo e fondativi della nostra civiltà umanistica, che costituiscono “l’architrave dell’umano” e la sorgente del “bene comune”. Bene comune del quale il lavoro è espressione peculiare e sul quale oggi si addensano motivate preoccupazioni. I cristiani sono stati nella società civile come il lievito e il sale, consapevoli che la fede è utile anche alla città. Hanno sempre costituito una presenza di coagulo per ogni contributo compatibile con l’antropologia relazionale e trascendente, e con il progetto di società aperta e solidale che ne consegue. In questa prospettiva la Dottrina sociale della Chiesa è un patrimonio provvidenziale, insuperabile per i cattolici che vogliono continuare o che si affacciano al servizio della città, sapendo che è insieme che si percorrono le vie del servizio se non si vuole essere velleitari ancorchè generosi: insieme, senza avventure, solitarie, per essere significativi ed efficaci: insieme secondo le forme storicamente possibili, con realismo e senza ingenuità o illusioni, facendo tesoro degli insegnamenti della storia. Termino citando l’apologo che il filosofo danese cristiano Søren Kierkegaard ha lasciato nei suoi diari: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è la rotta, ma ciò che mangeremo domani». Ogni battezzato è chiamato a farsi presente alla situazione storica in cui è posto esercitando il ruolo critico-profetico che il confronto fra la Parola di Dio e il presente suscita in lui.
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