Si è molto parlato, negli ultimi mesi, del diritto delle coppie omosessuali a ottenere in adozione oppure a concepire legalmente un figlio, con il ricorso a una persona dell’altro sesso al di fuori della coppia.
Il tema dei presunti diritti degli adulti ad avere un figlio, sia naturale che non, non è nuovo ed è già stato invocato anche da coppie eterosessuali, per esempio nel caso di età avanzata, oppure da single che tali vogliono rimanere. Si tratta quindi della rivendicazione di un più generale diritto degli adulti ad avere un figlio. Questa impostazione del problema del concepimento e dell’adozione rappresenta un singolare rovesciamento di prospettiva. Essa infatti non mette più al centro della paternità e della maternità i diritti del bambino e le condizioni ottimali del suo sviluppo, bensì l’adulto con le sue esigenze, che si tratti di coppie eterosessuali o omosessuali. Questo capovolgimento, se diventasse comune e generalizzato, rappresenterebbe una regressione grave per la società occidentale. Almeno a partire dal Settecento, infatti, la nostra società ha incominciato a interrogarsi sulle esigenze dei bambini, sottoponendo a critica pratiche educative e condizioni di vita in cui l’interesse dell’adulto veniva posto in primo piano e quello del bambino gli era subordinato. I grandi educatori e riformatori di quel secolo hanno speso parole di fuoco contro la prospettiva “dell’adulto-centrica” e i soprusi e le violenze a cui essa portava nella pratica educativa e nella vita quotidiana. Per questo, sentire parlare di diritti degli adulti nei confronti dei bambini preoccupa. Si può obiettare che nel mondo attuale si tratta di diritti affettivi, che non riguardano i rapporti di lavoro. Questa giustificazione non è sufficiente, perché il richiamo all’affetto, se il centro dell’attenzione è l’adulto e non il bambino, rischia di coprire motivazioni egoistiche, dove l’amore per sé prevale su quello per l’altro, più debole e indifeso. Voler bene ad un bambino significa riconoscerlo nella sua alterità di essere autonomo, unico e irripetibile, con bisogni e necessità proprie, con una specifica identità fisica e psicologica, con un futuro di vita adulta che va oltre quello dei genitori, sia nel tempo che nello spazio. Non si può quindi parlare di diritto degli adulti ad avere dei bambini, e questo vale qualunque sia il loro orientamento sessuale. Esiste al contrario un diritto dei bambini ad avere dalla società le migliori condizioni possibili di sviluppo fisico e psicologico. Per la maggior parte dei bambini queste condizioni si realizzano nella famiglia naturale, ma anche su questa la società, con le sue leggi, esercita un controllo. La patria potestà, per esempio, può essere tolta a un genitore naturale, o a entrambi, quando questi, in modo grave, non garantiscono a un bambino sufficienti condizioni di sviluppo e mettono in pericolo la sua vita e il suo benessere psicofisico. Quando il bambino non ha più una propria famiglia, o non l’ha mai avuta, la società risponde anzi tutto con l’adozione, riconoscendogli il diritto a vivere in una famiglia, composta da un padre e una madre, che risponda in modo adeguato ai suoi bisogni affettivi e di crescita. E’ infatti a una famiglia fatta da padre, madre e figli che la biologa ci ha predisposti, poiché la relazione tra un uomo e una donna è l’unica generativa, cioè capace di dare luogo a una nuova vita. Gli etologi ritengono a questo proposito che la comparsa, nella specie umana, della capacità di stabilire un duraturo legame affettivo di coppia sia una conseguenza della necessità di accompagnare i figli, la cui infanzia è in assoluto la più lunga rispetto a tutte le altre specie, fino alla maturità; in questo modo viene garantito il pieno successo riproduttivo della coppia e la più completa maturazione psicologica, a livello cognitivo, affettivo e sociale, dei figli. In Italia il numero dei bambini giuridicamente adottabili è inferiore a quello delle coppie dichiarate idonee, e non pochi restano esclusi dall’adozione, anche se di fatto vivono una condizione di abbandono. In questi casi devono essere praticate altre soluzioni, e vanno privilegiate quelle che garantiscono il più possibile un rapporto individualizzato di affetto con un adulto; questi, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, deve essere in grado di occuparsi del bambino in modo positivo, duraturo e stabile.
Tale scelta deve badarsi sulla valutazione, sempre fatta caso per caso, della capacità di un individuo di crescere in modo amorevole un bambino, cioè di pensare in primo luogo al suo benessere e al suo sviluppo nel tempo, e non a colmare i propri vuoti e a soddisfare i propri bisogni. Non si parli quindi di diritti degli adulti ad avere un figlio, bensì dei diritti dei bambini a crescere con degli adulti affettuosi, mossi anzi tutto dal desiderio di dare loro le migliori condizioni possibili per la crescita
di Don Salvatore Rinaldi
articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 16 Maggio 2016
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