Lasciate la zizzania

«Lasciate che la zizzania e il grano crescano insieme fino alla mietitura, perché non succeda che raccogliendo l’una, con essa sradicate anche l’altro. Poi al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania, legatela in fasci e bruciatela; il grano invece riponetelo nel mio granaio». (cfr. Mt 13,29-30)

Il tempo della separazione non è ancora arrivato e comunque non spetta all’uomo (per fortuna). Come afferma don Tonino Bello, però, «noi non siamo padroni del tempo, ma padroni di dargli un senso». Ebbene anche se non è tempo di mietitura, è tempo però di metterci in gioco. O crediamo che Dio si è fatto uomo ed è iniziata la nuova umanità o lasciamo che tutto vada così come vada. Su una logica prettamente umana si è inserita la logica dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. È come se Gesù ci dicesse: «Voi da che parte state? Non sapete che siete a immagine e somiglianza di Dio? O siete consapevoli di essere cittadini di una nuova umanità?». Gesù parla di una nuova umanità, ma guardandoci intorno vediamo zizzania. Se noi ci sentiamo appartenenti a questa nuova umanità, allora dovremmo impegnarci per farla emergere, più che preoccuparci tanto della zizzania che è intorno a noi. È Dio che ha avviato la primavera del cosmo, a noi spetta “solo” di diventare l’estate profumata di messi. Io non sono i miei difetti o le mie debolezze, ma le mie maturazioni. Non sono creato a immagine del nemico della notte, ma a immagine del creatore e del suo giorno. Per cui è così sciocco preoccuparci più della zizzania che di far emergere il grano. Gesù potrebbe benissimo dirci: «Perché ti preoccupi tanto della zizzania? Stai sereno, la nuova umanità l’ho voluta io, non tu!». Se vogliamo far parte della nuova umanità dobbiamo lasciare che la zizzania sia intorno a noi. Chi siamo noi per giudicare gli errori degli altri? «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17), dice a noi l’Uomo di Nazareth. Basta ripensare al suo modo di comportarsi durate l’episodio con Zaccheo, quando lo incontra sulla strada e poi si ferma a casa sua. Allora evidentemente se la zizzania intorno a noi non diventa grano buono, vuol dire che noi ancora non siamo nuova umanità. A noi tocca il compito non di tagliare la zizzania, ma di far emergere il bello della vita. Preoccupiamoci del buon seme: amiamo la vita, proteggiamo ogni germoglio, siamo indulgenti con tutte le creature. Se noi al posto di essere medici che curano, ci mettiamo a fare i legislatori, siamo fuori strada e non contribuiremo a rendere presente il Regno di Dio intorno a noi. Anche Papa Francesco ci ricorda che «la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso». (Intervista rilasciata a Padre Antonio Spadaro, Direttore di La civiltà Cattolica, 19 agosto 2013) E non lasciamoci scoraggiare pensando “ma noi chi siamo per fare tutto ciò?”, perché Gesù di Nazareth non si è mai circondato né di “perfettini” né di “primi della classe”. Riflettiamo un momento sui 12 apostoli. Tra i 12 c’è gente con un passato discutibile: un traditore, due che volevano raggiungere il primato, gente che aveva paura e di fronte alle difficoltà fuggiva. Smettiamola dunque anche noi una volta per tutte di fare “i primi della classe”. Siamo in un campo di battaglia. Smettiamola di ragionare con la logica solo umana, ma iniziamo ad aprirci e a fare nostra la logica di Dio. Se aprissimo un attimo gli occhi ci renderemmo facilmente conto che Gesù, l’Uomo di Nazareth, il Dio fatto Uomo, agisce al contrario della nostra logica, ancora troppo spesso e ostinatamente solo umana. Dio per sollevare la farina pesante  e immobile mette un pizzico di lievito. Egli non abbandona i peccatori. Egli li ama, li avvicina e per loro ha un’attrazione tutta speciale. Non punta il dito, ma allunga la mano verso chi si sente giudicato dai “benpensanti” del tempo. Allora superiamo la tentazione del giudizio. Smettiamo di comportarci come i mietitori della parabola. Dobbiamo amare questa Chiesa, non quella dei nostri sogni. Dobbiamo amare la Chiesa in cui viviamo, in cui ogni domenica spezziamo il pane e ascoltiamo la Sua Parola. Il sintesi l’attività primaria nostra consiste nel non preoccuparci prima di tutto delle erbacce o dei difetti, ma nel venerare tutte le forze di bontà, di generosità, di accoglienza, di bellezza e di tenerezza che Dio ci consegna, nella consapevolezza che davanti a Dio una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo. Il bene è più importante del male. La morale del Vangelo infatti non è quella della perfezione, l’ideale assoluto e senza macchia, ma quella del cammino, della fecondità, dell’avvio. Quindi partiamo nello scoprire ciò che la mano di Dio ha seminato in noi. Il nostro giardino dell’Eden affidato alla nostra cura. E ringraziamo il Signore che quotidianamente continua a darci la possibilità di confrontarci con lui.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 31 luglio 2017

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