Il diritto alla salute, alla luce dell’interessante percorso ermeneutico che ha reso l’uomo fulcro dell’ordinamento giuridico, rappresenta, oggi, un diritto “nuovo”.
All’interpretazione ontologica e assiologia della persona umana, il concetto di libertà di cura costituisce perfetta esplicazione del più ampio principio di diritto di cui all’articolo 13 Cost.: la tutela della salute deve essere bilanciata con la libertà personale dell’individuo, con la sua capacità di autodeterminarsi e salvaguardare la propria integrità fisica e psichica. In mancanza di tale bilanciamento, la persona non sarebbe in grado di esercitare alcun altro diritto fondamentale garantito dal nostro ordinamento giuridico e si troverebbe ad essere limitata nell’esplicazione piena della propria personalità. La persona è posta come “centro di interesse e di valori intorno al quale si coagula il sistema delle garanzie personali”. Il singolo è nucleo centrale, soggetto autonomo; egli decide per sé senza che i terzi, esterni, possano intaccare tale esplicazione della sua autonomia: essi rimangono estranei, nella generalità dei casi, al momento decisionale dell’individuo; e, soltanto laddove le scelte del singolo autonomo possano in astratto lacerare i loro altri diritti costituzionalmente garantiti, allora sarà possibile vederli trasporre da un lato passivo a quello attivo. Ma, in quel caso, tale trasposizione sarà giustificata dal fatto che essi, presi nella totalità, avranno assunto i connotati di soggetti portatori di valori collettivi sicuramente destinati a prevalere (nell’ottica del bilanciamento costituzionale) su quelli vantanti dal singolo individuo nell’ambito della propria autonomia decisionale. In questa prospettiva, l’importanza di tale libertà di scelta si rintraccia nella rilevanza che assume il cd. consenso nei rapporti di tipo terapeutico. La salute è propria dell’uomo; si essa ciascuno può liberamente disporre in conformità a quanto previsto espressamente dagli art. 2,13 e 32 Cost.: il consenso rappresenta il miglior modo per poter concretizzare questa libertà di scelta nel contesto dei rapporti sanitari. Esso indice chiaramente su aspetti di autonomia, indipendenze, diritto/dovere di curare e farsi curare; è l’elemento imprescindibile per riuscire a legittimare l’attività medico-chirurgica. E’ proprio sulla base del necessario riconoscimento della libertà del paziente nell’ambito del rapporto sanitario che esso, “l’illuminismo della medicina”, viene alla luce quale momento fondamentale d’un’attività di per se stessa pericolosa; diventa momento proprio dell’attività e si attaglia perfettamente al principio personalistico che ispira il nostro ordinamento: il paziente, per essere legittimamente sottoposto a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, deve necessariamente esplicare a monte la propria legittimante volontà di scelta. In caso contrario, l’attività del medico finirebbe per sostituirsi ingiustamente a quella del suo cliente. Perciò, non può essere compromesso in nessun modo e diventa “diritto irretrattabile” dell’individuo. Il principio del consenso agli interventi altrui sulla propria persona, così, costituisce il naturale corollario del più ampio principio della libertà personale e «si sostanzia nella esclusività del proprio essere fisico e psichico in virtù del quale la persona non può essere sottoposta a coercizione nel corpo e nella mente, a violazione della sua sfera di libertà corporale e anche soltanto morale; ogni potere o dovere del medico sul paziente trova in radice la sua unica ed esclusiva fonte nel consenso del paziente stesso, che rappresenta il momento focale della stessa autorizzazione legislativa dell’attività medica». Prima d’oggi, alla luce della ristretta interpretazione dell’art. 32 Cost., si riconosceva senza alcun dubbio la sostanziale posizione di superiorità e supremazia del medico rispetto al suo assistito. Si riteneva che quest’ultimo, ignorante in materia, fosse prive delle conoscenze tecnico-scientifiche proprie dell’attività chirurgica; e che, quindi, dovesse essere necessariamente assoggettato al volere dello specialista. Il suo coinvolgimento nella fase decisoria era un coinvolgimento evidentemente minimo; lo si considerava soltanto quale oggetto d’un momento di cura. Il paziente si ritrovava ad accettare acriticamente e con rassegnazione le decisioni del medico, così subiva le scelte terapeutiche e gli esiti negativi da queste ultime valutazioni eventualmente scaturenti. Oggi, invece si assiste ad una vera e propria emancipazione del paziente e si riconosce una maggiore autonomia al singolo malato le cui libere scelte vengono legittimate nell’ambito d’un rapporto terapeutico paritetico ed equiparato: la figura del sanitario risulta essere fondamentale ai fini della cura, ma non anche ai fini delle scelte che la presuppongono. Oggi, nella «relazione medico-paziente si fronteggiano due centri di valutazione e di decisione degli interventi da porre in atto nella gestione della malattia»: il paziente è cosciente dei propri diritti; ad esso viene riconosciuta, a pieno titolo, la dignità di soggetto capace di autodeterminarsi e di decidere in merito agli interventi diagnostici e terapeutici sulla sua persona proposti dai sanitari; egli, in definitiva, affidatosi ad un medico, lo costituirà sì garante della propria salute, ma non certo signore assoluto di essa. Perché si possa parlare di consenso valido, legittimante il trattamento sanitario, è necessario che esso sia corredato e preceduto da una puntuale informazione. Il medico deve fornire al proprio paziente «in modo esaustivo e completo tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità», nonché informarlo sulla portata dell’intervento, sulle inevitabili difficoltà, sugli effetti conseguibili e sugli eventuali rischi, in modo da portlo9 nelle condizioni di decidere in maniera consapevole sull’opportunità di procedervi. Volgono il suo corpo e la sua salute; e viene meno l’idea di una sterile formalizzazione del rapporto nel quale l’adesione del malato al trattamento sia relegata a mera condizione di rimozione dell’illiceità del fatto. Occorre precisare, poi, che, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivi, le informazioni non riguardano soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell’arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari carente, situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra.
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di mercoledì 27 Dicembre 2017
Rubrica "Fede e Società"
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