Quali sono i bisogni degli anziani?

«I vecchi diventano sempre più – positivamente o negativamente – protagonisti del nostro mondo: oggetto di solidarietà o di fastidio, comunque di preoccupazione». Oggi gli anziani superano abbondantemente i dodici milioni: gli anziani sono diventati protagonisti del nostro tempo. Di loro si parla parecchio.

Nei programmi televisivi si discute dei problemi legati alla salute, sui giornali gli esperti chiariscono dubbi riguardanti la pensione o l’assistenza domiciliare, negli spazi su Internet gli psicologi raccomandano agli anziani di esercitare la memoria con i cruciverba e praticare la ginnastica dolce. Tanti esperti e suggeritori fanno a gara nel mettere in guardia gli anziani dalle malattie o nel proporre nuove diete alla moda, ma nessuno che sappia entrare nella loro vita interiore per spiegare il modo con il quale essi interpretano la stagione legata al tramonto della loro esistenza. Oggi ci vuole coraggio a essere anziani. Il panorama dell’assistenza ci rivela una realtà che è fatta da centinaia di migliaia di malati cronici, da altrettanti vecchi isolati dalle famiglie negli istituti e condannate alla solitudine e alla rassegnazione. «Nei reparti di geriatria molte schede di dimissione ospedaliera portano come causa di morte un codice della Classificazione internazionale delle malattie (ICD) che dice: “Sintomi, segni, risultati anomali e cause mal definite” (Verganic- Ancora giovani per essere vecchi, ed Corriere della Sera 2014). Sono le cosiddette morti orfane di cui non si riesce a definire una causa precisa: l’anziano si lascia morire, andare come una barca alla deriva, non vuole più vivere». Davanti a quella realtà, la retorica sulla vecchiaia che ritroviamo ogni giorno sui media, rivela tutta la sua inutile inconsistenza. Anche la medicina ha le sue responsabilità. Se per il pensiero medico riduzionista che domina ancora una parte consistente della nostra cultura, l’essere umano non è altro che un corpo, un semplice aggregato di molecole, “una macchina che reagisce soltanto a stimoli fisici e soprattutto farmacologici” (Cucci G. Abitare lo spazio della fragilità, Ancora 2014), è chiaro che qualsiasi discorso di empatia, di calore umano, di ascolto e di incontro fra medico e paziente, non ha nessuna possibilità di applicazione concreta. Nella società del profitto che ha creato l’ospedale azienda nel quale il malato è stato ridotto a cliente, la salute a un prodotto da vendere per far quadrare bilanci e compilare statistiche, l’anziano si trova spesso condannato a morire a poco a poco, per disinteresse, apatia e solitudine. Questa situazione è un frutto dello smarrimento culturale in cui la persona è ridotta a corpo senz’anima. Si tratta di una visione del mondo incapace di rispondere alle domande di senso, di bene e di amore che vivono nel cuore di ogni essere umano. I bisogni spirituali di ogni anziano: le esigenze religiose: cioè pregare, partecipare a una cerimonia religiosa, leggere libri spirituali/religiosi, rivolgersi a Dio,…; i bisogni esistenziali: ossia riflettere sulla vita precedente, parlare con qualcuno del senso della vita e della sofferenza, parlare della possibilità di una vita dopo la morte,…; i bisogni di pace interiore: cioè desiderare di fermarsi in luoghi di quiete e di pace, immergersi nella bellezza della natura, trovare la pace interiore, parlare con gli altri delle proprie paure e preoccupazioni, maggiore devozione da parte degli altri,…; i bisogni di dare/generare: ossia dare conforto a qualcuno, condividere le proprie esperienze di vita ad altri, essere certi che la propria vita sia stata significativa e di valore,… La spiritualità svolge un ruolo più importante nella vecchiaia che nella gioventù. La finitudine della vita, le domande di senso diventano più critiche per l’individuo anziano. Infatti, tutte le ricerche a riguardo attestano che le pratiche spirituali possono favorire le risorse per affrontare le situazioni, il senso di coerenza e il significato nei pazienti così come in chi li assiste, migliorare il senso di benessere e la qualità della vita, aumentare la voglia di vivere, fornire un sostegno sociale e generare sentimenti di amore e di perdono. Le credenze spirituali possono avere anche un impatto sulla prassi decisionale in materia di assistenza sanitaria. È interessante notare per il nostro tema che la spiritualità può anche migliorare la gestione del dolore, il che non deve sorprendere perché l’angoscia probabilmente è multifattoriale, con cause psico-sociali e spirituali del dolore e della sofferenza, oltre che fisiche. Infine, la spiritualità può aiutare le persone ad avere più fonti realistiche di speranza, senso della vita, riconciliazione e la fiducia per raggiungere obiettivi importanti. La spiritualità aiuta a riformulare il corso della malattia e dell’invecchiamento, spostandolo da un processo orientato solo a curare ad un processo che, invece, tende alla guarigione e pace interiore. L’attenzione alla dimensione spirituale può aiutare la persona anziana a riformulare quella che può sembrare una fase limitata della vita, considerandola come ancora in espansione e piena di opportunità per la crescita interiore, e che può contribuire al bene delle prossime generazioni. «È molto importante non confondere la cicuta col prezzemolo, ma credere o non credere in Dio non lo è per nulla» (Diderot D. Lettera a Voltaire dell’ 11.06.1749).

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di Lunedì 14 Maggio 2018

Rubrica "Fede e Società"

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