Il colore della speranza

L’uomo che spera è un uomo in cammino che guarda fiduciosamente innanzi a sé: così sempre è stato visto e l’immagine, oltre che bella, è anche vera perché è dalla speranza che l’uomo è spinto a essere quello che ancora non è. A osare fino l’inosabile e a controllare anche le situazioni più difficili. Ma quando la via si fa eccessivamente lunga e faticosa e, quel che è peggio, segnata dall’ineluttabile, come rifornire d’olio la lampada della speranza che sta esaurendosi?

 

 

Anche la speranza, nella misura in cui è sentimento e impeto, ha la sua patologia che si evidenzia con speranze fiacche e labili oppure con speranze enfatiche e contraddittorie o ancora con quella atonìa della speranza che spesso precede i disturbi della psiche e ne è uno dei segni più evidenti. Ogni disordine nell’àmbito della speranza è riconducibile direttamente o indirettamente ad un disordine dell’io nel quale la speranza affonda le sue radici. Un io dimesso, umiliato e mortificato quasi sempre si esprime con speranze scialbe, prive di un minimo di brio e di vivacità. Di contro, da un io esasperato e ambizioso germinano quasi sempre speranze frenetiche e inconsistenti. Di qui la buona sorte di quanti si sono trovati in possesso di un io equilibrato e misurato eppur capace, quando è il caso, di uscire dagli abituali schemi, e cioè di un io adattabile ma non succube. Come si sa, l’io è in larga parte espressione del codice ereditario e dell’ambiente. Con tutto ciò rimane pur sempre nelle nostre mani la possibilità di un importante lavoro di revisione che può portare ad un prodotto finito anche molto lontano. Dalla mia esperienza: la vita è un recupero senza fine. Ma lo è per tutti o almeno per tutti coloro che intendono vivere responsabilmente la loro giornata terrena. Se uno è abbastanza pronto a correggere per tempo in se stesso gli eventuali guasti educativi o l’esuberanza di certi istinti, egli riesce a correggere in tutto o in parte le speranze malate che ne deriverebbero o che ne sono derivate. Diversamente rischierebbe di condizionare negativamente l’intera sua vita. L’importante nella vita è ritagliarsi delle speranze a propria misura, e cioè né di troppo facile realizzazione né con traguardi così alti da diventare motivo di continue frustrazioni, e in ogni caso non mai così numerose da trasferire il baricentro del vivere tutto, o quasi tutto, in tempo futuro. Molti hanno della speranza opinione che, se uno non ce l’ha, non se la può dare, e se ne ha poca non può darsene di più. In realtà, non è così, perché se è vero che anche la speranza, come il coraggio, è in buona parte dono di natura, essa per una parte tutt’altro che trascurabile può essere anche il frutto di una personale conquista. Non certo di una conquista che si possa improvvisare dall’oggi al domani, ma frutto di un lungo tirocinio che permetta a quelli che sono considerati i propiziatori e i mediatori della speranza di esprimersi in tutta la loro efficacia. Tra essi uno dei più importanti è certamente quello di una buona salute. Non che la malattia inibisca la speranza. Tutt’altro, ma le speranze suscitate dalla malattia sono generalmente molto settoriali e hanno di mira quasi esclusivamente la guarigione, e a questo scopo sono utilissime. Si è addirittura constatato che la tensione della speranza svolge una benefica azione di stimolo sul sistema immunitario e rende le cellule dei vari organi meno esposte a degenerare in forme tumorali: tutto ciò in conseguenza di un corretto equilibrio tra i vari neuromoderatori e neurotrasmettitori celebrali, equilibrio di cui la speranza sarebbe insieme la causa e l’effetto. Più ancora che il benessere fisico è il benessere mentale ad influenzare positivamente il dinamismo della speranza. Una mente serena si trova nelle condizioni ottimali per sperare e per operare con fiducia. Il propiziatore più efficace della speranza rimane pur sempre l’uomo: si pensi in particolare a quegli uomini che riescono a mantenersi aperti alla speranza quando la cosa risulta assai difficile. Specie in momenti cruciali sarà capitato a tutti d’incontrare uomini siffatti, uomini di ogni condizione e spesso di umilissima condizione, ma ricchi di estro e di disponibilità. Tali uomini, senza alcuna intenzione di proporsi come esempio, di fatto si fanno canali di speranza: a volte una loro battuta, una loro calorosa stretta di mano o un semplice sorriso bastano a suggerirci risposte adeguate ai tanti interrogativi e alle tante provocazioni che la vita, specie in certi periodi, ci pone. È da quando essi potrebbero non dire e non fare, e invece dicono e fanno, che ci viene l’invito più convincente a guardare innanzi con fiducia e ottimismo. Tra i colori è il verde quello che è stato scelto a simboleggiare la speranza. Forse perché esso è il colore che prevale in primavera, la stagione che ci porta fuori dall’inverno e che prepara ancora una volta gli alberi e i campi a portare frutti e biade. Un altro dei simboli più conosciuti della speranza è il sole nascente: esso segna la fine delle tenebre e l’inizio di una nuova giornata. Simboli della speranza sono pure l’àncora, lo spuntone di roccia che emerge tra le onde del mare in tempesta, la porta spalancata. Resta comunque vero che il più eloquente e significativo segno della speranza rimane la vita stessa, specie quando essa è sul nascere o alle prese con gravi difficoltà. Quando la vita, si trattasse pure di una vita a livello vegetale, riesce ad aver ragione delle circostanze più avverse, essa porta con sé un chiaro segno di speranza e un invito a sperare.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 3 Dicembre 2018

Rubrica "Fede e Società"

 

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