Emozioni e desiderio

L’emozione altro non è se non un’agitazione, uno scuotimento, una vibrazione dell’animo. Possiamo descriverle cosa proviamo quando vediamo il nostro amato venirci incontro: «È qualcosa che mi prende, che canalizza tutta la mia attenzione». Possiamo descrivere quello che proviamo fisiologicamente: «Mi fa battere il cuore, le mie mani sono tutte sudate». Ma, a conti fatti, la nostra descrizione non coglierebbe nel segno, perché il carattere essenziale dell’amore, come il carattere essenziale di tutte le emozioni, è l’esperienza.

Si prova qualcosa ad amare, e ciò che si prova è l’attributo che definisce l’amore. Le emozioni si manifestano velocemente, sono degli accadimenti involontari che si immettono nella vita dell’individuo e che, quindi, non possono essere né scelti né regolati. Le emozioni svolgono un ruolo molto importante nei nostri processi decisionali, nelle nostre scelte, nel guidarci verso comportamenti morali. Le emozioni, dunque, ci guidano nell’attribuire un valore personale alle diverse alternative di scelta, e ci accompagnano nella costruzione della nostra identità. Goleman ce ne dà conferma. Descrive le emozioni come «il motore e la ragione primaria del nostro comportamento, la bussola ultima che ci guida nelle scelte fondamentali, il termometro di quanto siano felici di ciò che ci circonda e di come stiamo affrontando l’esistenza» (D. GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici, BUR, Milano 2005). Ne siamo consapevoli? Conoscere e valutare le emozioni significa pensare e decidere meglio. L’educazione delle emozioni ci porta a quell’empatia che è la capacità di leggere le emozioni degli altri e, siccome senza la percezione dei bisogni degli altri non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell’altruismo sta nell’empatia. L’empatia si raggiunge con quell’educazione emotiva che ci permette di conseguire gli atteggiamenti morali, di cui oggi abbiamo tanto bisogno: l’autocontrollo e la compassione (M.L. HOFFMAN, Empathy and Moral Development. Implications for Caring and Justice, Cambridge University Press, New York 2000). La cultura dominante, individualista e utilitarista, ci conduce a un falso concetto di libertà, illudendoci che tutto sia possibile, che tutto possa e debba essere raggiunto sempre e facilmente. Ci troviamo di fronte a genitori che non sanno più educare i figli e a figli che sono disorientati di fronte a quello che provano, perché sprovvisti di un vocabolario emotivo, perché non educati al desiderio. La maturità emotiva ci permette di conoscere il nostro essere, ci permette di conoscere i nostri bisogni, ci permette di conoscere i nostri desideri. Il desiderio, termine bellissimo, spesso è confuso con il bisogno o con il piacere, inteso come “avere voglia di”. L’”avere voglia di” è qualcosa di improvviso e provvisorio, di breve durata; insomma un “capriccio”. Desiderare qualcosa, invece, significa sapersi concentrare su un obiettivo, una mèta, essere motivati a raggiungere quello scopo, quel traguardo, quella vetta. Impiegandoci tempo, pazienza, fatica, impegno, caparbietà nel superare le eventuali difficoltà, trattenersi dal godere di altro, pur di poter perseguire il fine. Non è un semplice essere colpiti, eccitati da ciò che è piacevole qui e ora, ma è un desiderare qualcosa che è importante per se stesso. Un indirizzarsi verso qualcosa che è significativo. Il bisogno è legato a una necessità, il desiderio porta già nel suo etimo la dimensione dell’attesa, dell’orizzonte “stellare” (dal latino de-, che indica una privazione, e sidera che significa “stelle”): desiderare come un avvertire la mancanza delle stelle, mancanza che spinge alla ricerca, che porta l’essere umano a muoversi. A differenza del bisogno che prevede un appagamento concreto, il desiderio manifesta la trascendenza dell’essere umano e implica la capacità di vedere oltre la necessaria impellenza del bisogno. Dunque, se il desiderio è ciò che dà senso alla vita, che orienta, come una bussola, la rotta, e se il tempo che viviamo è il tempo dell’assenza del desiderio, la domanda che ci dobbiamo porre è: si può educare al desiderio? È importante ricordare che, proprio grazie ai limiti, grazie alle regole, grazie alle leggi, il desiderio si manifesta. La società del benessere, dove tutto sembra possibile, paradossalmente crea un senso di vuoto, un senso di disagio e di impotenza. L’assenza delle regole produce o una sorta di bulimia per cui si vorrebbe divorare di tutto, oppure, al contrario, crea un atteggiamento di rinuncia perché niente sembra più desiderabile, appetitoso, perdendo, in questo modo, il senso e la bellezza del vivere. Le regole e le leggi sono la premessa, la condizione, per desiderare. Le regole non devono essere percepite come ciò che impedisce, ma ciò che consente di realizzare le potenzialità della propria umanità. Cosa possiamo fare noi educatori, genitori, docenti, per cercare di accendere il desiderio nei giovani? Accendere un desiderio non è semplice come accendere la luce pigiando su un interruttore! Accendere un desiderio significa mostrare con la propria vita che si può vivere in questo mondo con entusiasmo e amore. Scrive Recalcati: Non si tratta però di una testimonianza morale: non si tratta di dare il “buon esempio” soltanto. Si tratta, invece, di mostrare come potrebbe essere una vita buona, ricca di desideri e pure reale e realizzata nella realtà concreta e sempre limitata (M. RECALCATI, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina, Milano 2018, 5-16).

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 18 Maggio 2020

Rubrica "Fede e Società"

 

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