Dio non solo crea, ma continua nella sua amorevole cura dell’umanità e non l’abbandona, nemmeno quando gli si voltano le spalle. Essere genitori non significa solo generare, ma aver cura dei propri figli. Amare non è solo innamorarsi, ma vivere nel quotidiano l’esperienza della cura. Il senso dell’esistenza è decisivo, ci è donato in una Rivelazione dell’amore che ci raggiunge e ci trascende. Noi abbiamo esperienza soltanto di cose che cominciano e finiscono e che quindi hanno un “da dove” e un “verso dove”.
Il Dio cristiano non viene a incontrarci perché siamo al centro dell’universo, ma viene ad amarci proprio nella nostra marginalità e a farsi piccolo non solo in un pianeta sperduto e periferico, ma in un piccolo paese della Palestina. Nella fede nella creazione, la dottrina cristiana non ci dice come questo atto originario si sia espresso e si esprima nella struttura cosmica e umana, ritenendo la ricerca intorno a tale questione di competenza piuttosto della ragione e della scienza che non della fede e della teologia. Possiamo aggiungere che l’idea di un universo in movimento (evoluzione) si presenta addirittura più compatibile con quella di un Dio dinamico, spinto dall’amore, piuttosto che con quella di un mondo statico, uscito così com’è dalle mani del Creatore e destinato a rimanere sempre nella stessa situazione. In questo senso, non si dà alcuna contrapposizione fra creazione ed evoluzione, a meno che non si ritenga che il mondo e l’uomo si siano autogenerati. Nella nostra esistenza quotidiana, non disponiamo di una libertà assoluta, ma strutturalmente limitata da punto di vista storico, psichico, sociale, culturale, biologico ecc. Nell’orizzonte della fede biblica dobbiamo aggiungere che questa libertà risulta ulteriormente limitata, o sarebbe meglio dire ferita, dal peccato, che ha lacerato quella immagine e somiglianza di Dio impressa nell’uomo con la creazione. La liberazione che con il Battesimo ci viene donata ovviamente non elimina i condizionamenti e i limiti strutturali dal nostro agire, ma rende possibile, con il supporto della grazia che viene da Cristo, l’esercizio della libertà nelle situazioni in cui ci è dato scegliere, a partire dalla scelta fondamentale dell’accoglienza della vita che ci è stata donata, fino all’accoglienza, nella fede, della parola che Dio pronuncia e che si chiama Vangelo. Chi nasce è segnato dal peccato, in quanto non nasce né in un contesto assolutamente buono, né in un contesto neutrale o di equidistanza dal bene e dal male, ma si trova nella situazione di compiere più facilmente il male che il bene, senza l’aiuto della grazia. Questo peccato, ha comportato una vera e propria “involuzione”, in quanto a partire da esso risultano profondamente compromessi i rapporti fra l’uomo e la natura, fra l’uomo e la donna e in genere fra gli esseri umani, fra l’uomo e Dio. Questo peccato non si trasmette solo di padre in figlio, ma anche orizzontalmente, perché ci appartiene in quanto esseri umani, in una solidarietà negativa che condividiamo con tutti i nostri simili. Tale solidarietà negativa viene ribaltata dalla redenzione che si attua nel mistero pasquale, cui partecipiamo nei sacramenti e a cui aderiamo nella fede in Cristo Gesù. Perché il peccato si compia, bisogna che il soggetto sia dotato di intelligenza e libertà e questo vale sia per il primo peccato, sia per i peccati che compiamo nella nostra esistenza storica. L’amore di Dio che si esprime nella creazione del mondo e dell’uomo chiama all’esistenza la realtà in una situazione di bontà originaria, che troviamo espressa nel ritornello presente nel primo racconto delle origini: «E Dio vide che era cosa buona». Quando Dio crea l’uomo e la donna, dice addirittura che «era cosa molto buona» (Gen 1, 31). Con questa prospettiva le Scritture intendono prendere le distanze da una concezione pessimista dell’esistenza, quale quella che rifletteva le origini pensando la produzione del mondo e dell’uomo come a un decadimento progressivo dallo spirituale al materiale. La caduta, al contrario, non proviene dalla creazione, ma dall’agire libero dell’uomo che se ne allontana, rompendo il legame armonioso con Dio, il cosmo, gli altri e se stesso e ponendosi in quella situazione di “miseria” che caratterizza l’attuale stato dell’esistenza umana. Ma ancora una volta l’amore di Dio non intende lasciarci in questa situazione, ma ci offre la possibilità di uscirne, non solo restaurando la condizione dell’armonia originaria e naturale, ma andando oltre, verso quella partecipazione alla vita soprannaturale che costituisce il fine per il quale siamo stati creati. A differenza di quanto si possa evincere da una lettura letterale dei racconti della creazione, non dobbiamo interpretarla come se Dio avesse creato direttamente ciascuna specie vegetale o animale. Si tratta dell’atto di amore iniziale con cui Egli ha dato origine a un universo chiamato dinamicamente a svilupparsi ed evolversi. E in questa dinamica sono comprese tensioni e lotte per la sopravvivenza. Tali tensioni e lotte sarebbero rimaste nell’ordine naturale, se l’uomo non avesse peccato, rendendo con la sua iniziale scelta disarmonica nei confronti di Dio, di se stesso, degli altri e del cosmo, il mondo e la storia ancora più abitati dalla violenza e dal desiderio di dominio. La lotta cosmica e storica fra il bene e il male, la luce e le tenebre, il vero e il falso, avviene innanzitutto nel nostro cuore e nella nostra mente, come in Gesù di Nazareth, che ha vissuto sulla propria pelle la violenza ingiusta, il dolore e la morte, e che ci dona la sua grazia, perché, da essa sostenuti, non ci consideriamo sconfitti di fronte ai predatori di turno e non diveniamo a nostra volta predatori nei confronti degli altri. Il Figlio ha subito la violenza del mondo per redimerci e donare speranza alle nostre esistenze, soprattutto nei momenti della lotta e della fatica.
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 25 Maggio 2020
Rubrica "Fede e Società"
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