Per me la fede… sono riuscito a capire che non è la stessa… non ho la stessa idea di fede di quando ero ragazzino. Adesso ho 19 anni, sono cresciuto, mi sono fatto il mio pensiero. Da bambino pensavo fosse una cosa bellissima, pensano che Dio fosse il mio protettore e che dovessi seguire il suo stile di vita…quello di Gesù. Tramite le varie letture, i vari insegnamenti cercavo di imitarlo. Invece crescendo, anche studiando, ho capito che non è così. Ho capito verso i 13, 14 anni… ho capito che non è tutto vero ciò che dicono.
Mi sono documentato tramite internet, libri, professori e personalmente… è nato in me questo desiderio di sapere di più perché mi sembrava una cosa troppo utopistica, troppo perfetta… un mondo vissuto nel bene, troppo protetto. Un po’ troppo perbenista secondo me. Quello che ho pensato è che la fede è molto diversa della chiesa, dal cattolicesimo, dal cristianesimo. La fede è una cosa innata che sta dentro di noi. Perché si può essere benissimo fedeli senza essere cristiani né appartenere a nessun movimento religioso. La fede nasce dal rapporto personale che hai tu con Dio, un Dio indeterminato… che può essere cristiano come non… Tra le giovani generazioni e la fede tradizionale, se si escludono quelle poche eccezioni che certo non rappresentano la tendenza di un insieme, non esistono quasi più i rapporti significativi. Naturalmente non mancano giovani nella chiesa. Esigua nella consistenza numerica, la loro presenza sembra tenace nelle motivazioni. Ma si tratta di percentuali estremamente modeste. Per trovare una presenza giovanile più massiccia, anche di una certa consistenza numerica, bisogna osservare realtà ecclesiali organizzate attorno a un carisma specifico, specie se di natura sociale e dal forte indirizzo culturale. In realtà bisogna dire che la disaffezione delle giovani generazioni per la fede tradizionale è stata ampiamente preparata dai loro genitori e dai loro nonni. Quelle generazioni che hanno messo al mondo dei figli negli anni Sessanta e negli anni Ottanta. Generazioni che si sono sfilate dall’appartenenza ai sistemi di senso e alle strutture di autorità in tempi e per motivi anche molto diversi. I processi rivendicativi del Sessantotto hanno certamente scavato il solco più significativo al confine della cultura religiosa. Le generazioni degli anni Ottanta sono quelle che hanno cominciato a prendere il largo dell’agiatezza consumistica e della narrativa mediatica. È opinione diffusa che oggi i giovani siano indifferenti e apatici; poco propensi all’impegno e tendenzialmente insensibili. Non c’è dunque da meravigliarsi che si ritenga che ai giovani non interessi nulla di Dio, della chiesa o dei valori cristiani. Nei giorni del lockdown a causa della pandemia si sono visti giovani che consegnavano la spesa o i medicinali agli anziani e adolescenti che intrattenevano con attività didattiche e ludiche bambini su siti da loro ideati. Ma fidarsi oggi è difficile; i giovani stessi sentono dentro di sé il venir meno della fiducia. La fede fa tutt’uno con la fiducia. Si crede in qualcuno accettando il mistero che custodisce in sé; accettando che in lui o in lei vi sia qualcosa che deve essere accolto senza pretendere di conoscerlo; che riconosce che l’altro/Altro è molto più di ciò che io posso sapere e contenere dentro di me. È il salto che compie ogni innamorato, ogni persona che crede e si impegna in un progetto importante; ogni persona religiosa che decide di affidare a Dio la propria vita. Se non si è disposti a credere a ciò che è invisibile agli occhi, di far credito alle ragioni del cuore, è difficile fare quella misteriosa esperienza che consente ad una persona di andare oltre se stessa, di sporgersi su un territorio inesplorato che in alcuni momenti può assomigliare a un abisso. Oggi i giovani – e non solo loro – respirano nell’ambiente un clima arido, troppo minaccioso per dimensioni umane così delicate e fragili. Il frutto di questo impoverimento culturale ed etico non è solo la crisi della dimensione religiosa, ma quel ripiegamento amaro che porta un giovane a dire: «siamo disillusi…» e «la disillusione porta a fidarsi solo delle proprie forze, a credere solamente nel qui e ora, senza nessuna apertura alla possibilità di una verità. Siamo in un’epoca in cui la passione per i grandi ideali in generale viene scoraggiata: l’uomo, dopo essersi ubriacato con le ideologie novecentesche, ha paura che qualsiasi slancio possa poi divenire rovinosa caduta».
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