Se sulla terra ha camminato un uomo come Gesù, allora anche a noi può essere dato di «camminare come lui ha camminato» (1Gv 2,6). La sua vita è promessa di senso per la nostra vita. Il vangelo, come annuncio di bene, è in qualche modo l’oggetto per eccellenza della promessa; per analogia, ogni promessa è una forma di vangelo. Ciò nella consapevolezza che il vangelo è Gesù Cristo e la persona di Gesù è il vangelo (cf. Mc 8,35; 10,29). Dunque, Gesù è la promessa di Dio fatta buona notizia, ora e sempre. Chiediamoci perché Gesù amava la compagnia dei peccatori pubblici, preferendola a quella dei pretesi impeccabili, dei «giusti incalliti».
Una domanda: concordiamo con Gesù oppure preferiamo essere «sepolcri imbiancati, belli all’esterno ma dentro pieni di marciume, giusti davanti agli altri, ma nel segreto pieni di ogni ipocrisia e iniquità» (cf. Mt 23,k27-28)? La scelta spetta solo a noi, ed è più quotidiana di quanto si pensi. Comporta la lotta contro l’abbaglio di voler apparire piuttosto che essere; richiede di esercitarsi nella sana autoironia di chi si sa fallibile, mancante in tante cose, dunque non insiste per avere sempre ragione; esige l’onestà e il rigore con sé stessi che, praticati giorno dopo giorno, dovrebbero farci arrossire non dei peccati, ma di tutte le maschere che ci inventiamo per nasconderli. È più grave un peccato pubblico o un vizio gelosamente nascosto e coltivato con la vera perseveranza che ci contraddistingue, quella nell’ipocrita doppiezza? Gesù ci ha insegnato che la strada privilegiata per conoscere Dio è l’essere consapevoli della propria qualità di peccatori. Il peccato in cui cadiamo è la vera occasione per fare esperienza del Padre, per aprirci alla sua misericordia preveniente. Proprio come canta il salmista: «Sì, io conosco le mie ribellioni e il mio peccato mi è sempre davanti […]. Un cuore puro crea in me, o Dio […]. Fa tornare in me l’allegria per la sua salvezza» (Sal 51,5.12.14). Non è mai tardi per aprire porte e finestre e lasciar entrare il fresco profumo di questa buona notizia. E per riconoscere che, finché non accettiamo la nostra malattia, ci guardiamo bene dal fare visita a un dottore. Come dice È. Cuvillier, mangiando alla tavola dell’esattore collaborazionista dell’occupante romano [Gesù] compie un gesto di rottura […]. Certo, Gesù non è lì per far piacere a qualcuno o per avallare certe situazioni, ma per far nascere degli interrogativi […]. A noi l’altro interessa solo per le sue qualità, eredità o proprietà. Al contrario: ciò che gli permette la comunione con colui che è venuto a chiamare non dei giusti ma dei peccatori (e con il suo Dio) è soltanto il riconoscimento della sua indegnità radicale, dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,1-10). «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). È la chiamata alla vita la prima vocazione di ogni umano, la promessa originaria insita in ogni itinerario esistenziale. Dall’inizio alla fine della sua vita Gesù non smette di agire, parlare, dunque pensare e sentire, in riferimento a ciò che è bello, e per questo buono. Detto più semplicemente: a lui interessa vivere e spandere bellezza intorno a sé, e in questo suo stile si innesta la sua bontà, percepita segretamente anche da quanti lo osteggiano. Scriverà l’apostolo Pietro, dopo aver vissuto con Gesù: «Abbiate uno stile di vita bello e buono in mezzo alle genti» (1Pt 2,12). Sarebbe forse ora che la prassi quotidiana dei credenti in Gesù Cristo portasse chi li incontra a esclamare con stupore: «Guarda che persone belle, in quanto mostrano di vivere quella bellezza che è di per sé segno di bontà!». Eppure abbiamo la promessa che Dio ci ha fatto: la vita eterna (1 GV 2,25). Una vita modellata su quella di Gesù, vita all’insegna dell’amore e della libertà, pur a caro prezzo. Questa forma di vita è sempre possibile, fino all’ultimo, come ci ricorda la promessa di Gesù in croce a uno dei due malfattori accanto a lui, il cosiddetto «buon ladrone»: «In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Commenta splendidamente Ambrogio di Milano: Quello pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno (cf. Lc 23,42), ma il Signore gli rispose: «In verità, in verità ti dico, oggi con me sarai nel paradiso». La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è anche il Regno (Ambrogio di Milano, Esposizione del Vangelo secondo Luca X, 121). Questa la grande promessa di Dio in Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre.
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