Teologi e psicologi possono crescere insieme, proprio in quanto teologi e psicologi, nel loro specifico. Non è possibile fare a meno del dialogo: la teologia si precluderebbe un ambito del sapere imprescindibile. Il rito non è nulla di meno di un gesto squisitamente umano, e in questo “nulla di meno” la competenza delle scienze umane è una benedizione per la teologia.
Sarebbe scorretto che i teologi, in un momento di difficoltà della teologia, ci mettessero una pezza proponendo incursioni nel dominio delle scienze umane senza un’adeguata esplicitazione del loro punto di vista, che tematizza il “di più” della ritualità cristiana, senza il quale essa non meriterebbe nemmeno di essere celebrata: i sacramenti cristiani si candidano come il significato ultimo della ritualità degli uomini. L’incontro tra scienze psicologiche e teologiche s’impone oggi per una rinnovata consapevolezza della centralità della persona, della sua complessità e dinamica e del suo bisogno di orientamento e di cura nella realizzazione di sé, in un mondo sempre più frammentato e complesso. Già Theilard de Chardin raccomandava: fino ad oggi, e per buonissime ragioni, la vostra scienza si è occupata di far percepire all’individuo, nel profondo di se stesso, impressioni dimenticate, complessi che una volta smascherati ed accettati, svaniscono alla luce del Sole. Tutto ciò va benissimo. Ma una volta compiuto questo lavoro di pulizia e di liquidazione, non è che ce ne sia da fare un altro più costruttivo e quindi più importante? Voglio dire, aiutare il soggetto a decodificare nelle zone ancora poco esplorate e chiarite di se stesso quelle grandi aspirazioni che sono: il senso di irreversibilità, di Cosmicità, il senso della Terra, il senso dell’Umanità. Operazione inversa alla precedente. Psicoanalizzare non per liberare ma per impegnare. Permettere l’introspezione non per dissipare i fantasmi, ma per dare consistenza, direzione e soddisfazione a certi grandi bisogni o chiamate che soffocano dentro di noi (e per le quali noi soffochiamo) se non tradotte e capite. In verità si tratta di una delicata e complicata opera di scoperta poiché in questo campo professore e studente, colui che dirige e chi è diretto, avanzano entrambi a tentoni: lavoro però molto fecondo poiché impegnato a discernere non più ciò che ci lega e ci appesantisce ma le molle più segrete e più generose del dinamismo psichico che ci anima (Verso la convergenza. L’attivazione dell’energia nell’umanità, Gabrielli Editori, Verona 2004). L’esperienza umana non può essere ignorata, né by-passata, ma deve essere riconosciuta e ospitata in tutte le sue componenti nei percorsi di educazione alla fede, allo stesso modo, va riconosciuto che la fede è il dono gratuito di Dio da accogliere e a cui corrispondere in modo sempre più consapevole. Solo in questo movimento di accoglienza-risposta, essa potrà diventare, per il singolo e per la comunità, fermento di vita nuova ed offrire senso pieno e pieno sviluppo, proprio come il lievito che trasforma la massa in qualcosa di nuovo che è il pane. La Chiesa esercita nei confronti di ogni battezzato la sua funzione materna/paterna quando, riconoscendone i bisogni fondamentali, rispettandoli e rispondendo ad essi, li apre alla dimensione del desiderio, della scoperta e dell’accoglienza del Mistero. Così la catechesi - diventata kairotica - fa risuonare parole di vita sulla vita di ciascuno e l’azione liturgica, attraverso i riti, fa partecipare pienamente - corpo, spirito e mente - al Mistero di Cristo, nel segno del dono, dell’esuberanza, della bellezza. Perché essere appassionati dell’umano è, in modo misterioso e profondo, accogliere e condividere la passione di Dio per ciascuno di noi.
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