È importante capire ciò che facciamo, e perché lo facciamo, quando aiutiamo gli altri o vogliamo farlo.
È importante prendersi cura del singolo, da buoni samaritani che versano l’olio della consolazione e il vino della speranza sui feriti che incontrano lungo la strada della loro vita, ma è anche importante costruire comunità samaritane dove le persone possano fare esperienze di attenzione, tenerezza, cura e guarigione.
La cultura attuale, rimasta fin troppo prigioniera di una visione utilitaristica e materiale, ha assorbito l’idea che esista solo una socialità negativa, fatta di lotta e di sopraffazione, e non riesce più a riconoscere l’esistenza di una socialità positiva, e di rapporti di aiuto, benevolenza, conforto, compassione, comprensione, indulgenza, accettazione, tenerezza, bontà, perdono e molto altro ancora.
Capire ciò che facciamo, e perché lo facciamo, quando aiutiamo gli altri o vogliamo farlo. E così poter migliorare il nostro aiuto, migliorando contemporaneamente noi stessi e gli altri, proprio mentre li aiutiamo. E continuare a farlo, senza bruciare troppo presto tante belle motivazioni ed energie.
L’azione volontaria è per definizione proattiva (profetica) nella soluzione dei problemi piuttosto che semplicemente reattiva nel rispondere ai bisogni.
La solidarietà porta il volontario ad andare oltre la persona cui si è affettivamente legati, il soggetto precedentemente conosciuto o occasionalmente incontrato: si impegna per la giustizia dovunque venga negata.
Nel suo rapporto con chi vive la sofferenza della malattia, il volontario sperimenta un intenso coinvolgimento emotivo, non sempre facile da gestire, non solo in rapporto alle persone che cerca di aiutare ma anche in rapporto alle sue motivazioni, più o meno coscienti, e alle sue aspettative.
L’opera del volontario può corrispondere a quella del «buon vicino di casa», che sta a fianco di chi è in difficoltà, su cui si può contare in vari momenti della giornata e a vari livelli, dal dialogo a piccole prestazioni di aiuto pratico: un buon vicino di casa che è disponibile, ma non invadente, e che sa offrire una presenza stabile e discreta che offre sicurezza e sulla quale si può sempre contare.
Certamente il volontario, nello svolgimento della sua attività, perfeziona la sua capacità di agire, ma ha bisogno di una formazione adeguata, all’inizio del suo percorso e continuamente durante la sua attività: una formazione che lo renda competenze nell’aiutare chi è in difficoltà, capace di continuare ad offrire presenza, ascolto, condivisione e compagnia, mantenendo un adeguato controllo del proprio coinvolgimento emotivo ed affettivo.
Nello svolgimento delle diverse attività di aiuto, anche di volontariato, specialmente a contatto con la fragilità, il dolore e la malattia, possono sorgere rischi di identificazione eccessiva, di tendenza all’iperprotezione, di non considerazione dei limiti, di rivalità o di contrapposizione rispetto ai professionisti sanitari, e anche di svalutazione dei genitori e di tentativi, in qualche modo, di sostituirli.
In ambito formativo, e in particolare nelle varie tipologie della relazione di aiuto, sono importanti le varie forme del sapere:
· il sapere, costituito dalle conoscenze teoriche utili per conoscere l’ambiente in cui si desidera lavorare e il tipo di persone con le quali si vuole entrare in rapporto;
· il saper fare, costituito dalle abilità pratiche e competenze che bisogna fare proprie;
· il saper essere, che riguarda la conoscenza di sé, le proprie motivazioni e qualità, i punti di forza e i lati deboli e il proprio modo di relazionarsi con gli altri;
· il saper divenire, che implica la capacità di imparare, di rimettersi in gioco, di svilupparsi, di cambiare e di crescere, sapendo coniugare spontaneità e creatività con la capacità di apprendere dagli altri, e di collaborare con loro, all’interno di regole associative, ma anche di modalità relazionali che si sono rivelate importanti per determinare tipi di relazioni di cura e di aiuto.
Se è indubbio l’aiuto che i volontari attenti e ben preparati possono dare a chi sta vivendo la difficile stagione della malattia, del dolore e della vicinanza della morte, ci possono essere volontari che, con i loro comportamenti, possono creare problemi, e diventare anche dannosi:
· volontari invadenti e intrusivi;
· volontari che si comportano da medici o da altro personale curante;
· volontari che intossicano anche gli altri con le loro emozioni non adeguatamente elaborate e controllate;
· volontari che si danno troppo da fare, non sanno tenere «una buona distanza» e creano dipendenza nelle persone che vogliono aiutare;
· volontari che si lasciano utilizzare dai malati, dalle famiglie, dai professionisti sanitari e dalle istituzioni.
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